Delhirio.
Corrispondenze dall’India
Le mie riflessioni indiane o le mie impressioni o la mia corrispondenza da Delhi.
L’idea è fermare emozioni, fermare attimi, riflessioni, e provare a condividerli con voi.
Farveli sentire, assaporare, toccare. Toccare attraverso parole. Sparse. Voi, a 7000 chilometri di distanza su per giù.
Raccontare nel mio modo. Di pancia e di penna.
Con la mia lente.
Attraversarmi, da parte a parte. Istantanee tra cuore e cervello. Istantanee. Delhirio, mi sembra un nome azzeccato per questo mio filo diretto. Il più delle volte questi sono pensieri scritti a matita e trascritti in digitale con estrema fatica. Delhirio, perché Delhi un po’ delirante lo è, nella sua lucidità. Qui l’assurdo è la normalità. C’è assurdo ovunque. In strada, per esempio, la circolazione è figlia di questo diktat:” la regola è che non esistono regole”. Si va. Non è raro trovarsi quindi contro mano, sul taxi, in una strada a tre corsie.
Nell’attimo in cui te ne rendi conto, due Ave Maria (reminiscenze di tempi andati) e la speranza che il tuo Karma sia allineato con quello dell’autista.
Andar per le strade è una bella avventura, per tanti motivi. Il concetto cardine è il riempimento dello spazio. Così tutti questi pezzi eterogenei, figli di una città caotica e rumorosa, alla fine prendono il loro posto. In una maniera che va dallo stupefacente all’incredibile. E nessuno che si arrabbi, che scenda dall’auto. Una botta qui, una là e si riparte, si va, si rimette in moto l’ingranaggio.
Un ingranaggio precario ma perfetto. Un ingranaggio disarmante, faticoso, un esercizio quotidiano di sopravvivenza. Con la sua coltre di fumo, nel suo fiume, che è più una cloaca, con la sua marea indicibile, la città va. Rumorosa e stanca, con la sua spietata crudeltà e la sua inenarrabile bellezza. Il suo coraggio. La sua generosità. Delhi è generosa, generosa fino alle lacrime e maledetta. Ci vuole coraggio per svegliarsi ogni giorno sotto questi ponti. Immersi nello smog, Asfissiati e consumati. Delhi morde caviglie, come cani. Corrode.
Delhi, ogni giorno, si rimette in moto. Delhi va, e spaventa a tratti questo suo andare.
Sono qui da poco, ma la mia domanda è sempre la stessa: quale direzione prenderà Delhi, in bilico tra modernità e tradizione?
Sull’orlo del precipizio ambientale. A Delhi poco importa ogni mia elucubrazione serale. Mi fa l’occhiolino e si colora di luci, locali alla moda, drink e food. Indossa il vestito suo più bello e per un attimo le credi, credi agli slogan, -“for a green Delhi”-, -“together for a clean Delhi”-. Slogan. Tra il pubblicitario e il propagandistico. E io a divider carta da plastica, scatolette di latta da cibo. E lei che raccoglie i miei pezzi e li fa confluire nell’unico contenitore disponibile.
Credo si chieda ogni volta il senso di tutto questo. Ma io non ce la faccio, è più forte di me. Probabilmente non comprenderò mai nulla di lei e lei comprenderà poco di me, ma sono certa sapremo amarci a vicenda. Con sospetto in taluni casi. Con circospezione, ma tant’è. Ciò detto mi inserisco. Completo il puzzle con un mio click e assaporo questa fase anarchica tanto anelata. Ecco una breve presentazione di quella che è più un’idea che altro. Sono certa che qualcosa ne verrà fuori. Forse è solo il mio bisogno di mettere ordine. Ogni sera ricomporre. Perché mi smarrisco, smarrisco la strada, mi perdo ogni giorno. Perdo me stessa. E non è mai un perdersi geografico è, più che altro, smarrire certezze. Cambiare direzione, costantemente, prospettive e convinzioni.
Ho il cervello che frigge per cui qualcosa ne verrà fuori, riuscirò a scribacchiarlo. Nel frattempo, come m’ha detto il ‘Biro’, – che le danze abbiano inizio – e si sa, quando c’è da ballare, non mi tiro mai indietro.
Namasté